Giancarlo Vietri
- 18/07/2010 22:47:00
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Ha davvero valore la distinzione tra senso e significato di cui parlava Frege? E, se lo ha, non è solo in quanto il significato è un insignificante intermezzo, un luogo di passaggio di cui abbiamo bisogno per indicare il senso, ciò che veramente ci sta a cuore?
E fino a che punto i significanti rinviano ad un significato distinto, come sosteneva Saussure, e non hanno invece vita autonoma? Diversamente detto, è davvero scindibile la forma dalla sostanza? Forse sì, ma solo nella misura in cui la nostra anima, nella sua espressione informe, è insoddisfatta delle forme che si dà per esprimersi, e resta quindi in qualche modo inespressa. Non quando riesce a calarsi nella forma nella sua interezza.
Ed è vero che la distanza tra le persone nell’uso della forma dia luogo alle parole insignificate, come ben dici tu. È persino vero che questa distanza sia a volte indotta artatamente, perché chi trasmette il messaggio mira proprio ad escludere la comprensione altrui, magari per dare a vedere che stia dicendo cose molto più acute ed originali di quanto in effetti non sia. Ma come la metti con Proust e con la sua idea che una selva di significanti, quale è un libro, stia lì non per trasmettere i significati dell’autore, ma perché il lettore evochi i suoi? La tua riflessione, insomma, non vale solo per le comunicazioni di carattere utilitaristico, funzionale e in definitiva oggettivo, trascurando il versante (come avviene ad esempio nell’arte), dove il linguaggio si frantuma tra chi lo porge e chi lo recepisce in un gioco misterioso di specchi?
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